venerdì 20 marzo 2009

Quinto Orazio Flacco, Epòdi 5, le Malie di Canidia


Per il mio ed il vostro piacere intellettuale inserisco questo componimento di uno degli autori latini più significativi, nonchè il mio preferito, Quinto Orazio Flacco.
Vi auguro una buona lettura dal vostro Fabio Calì.

Per tutti gli dei che in cielo governano
il genere umano e la terra
cos'è questo fermento?
Perché tutte mi guardate con occhi truci?
Per i tuoi figli, se a presenziare un tuo parto
Hai mai invocato Lucina,
per questo vano ornamento di porpora,
per Giove che questo condanna,
dimmi, perché mi guardi come una matrigna
o una belva ferita?

Così con voce tremante pianse il fanciullo,
quando impietrito fu spogliato,
un corpo immaturo che avrebbe intenerito
l'empio cuore dei traci.
Canidia allora, che fra i capelli arruffati
ha nodi guizzanti di vipere,
ordina che su fiamme della Còlchide
siano arsi cipressi funebri,
caprifichi divelti dai sepolcri,
uova di rospo viscido
sporche di sangue, penne di civetta,
erbe che vengono da Iolco
o dall'Iberia, patria di veleni, e ossa
strappate ai denti di una cagna.

Sàgana intanto, discinta e con i capelli
irti come riccio di mare
o cinghiale in fuga, sparge in tutta la casa
acqua del lago Averno.
Veia, che non è distolta da alcun rimorso,
scava a colpi di zappa
la terra, gemendo per la fatica:
qui seppelliranno il fanciullo
con solo il capo che affiora, come chi nuota
fuori dell'acqua ha solo il mento,
perché davanti ai cibi sempre nuovi e freschi
abbia a morire lentamente:
col midollo estratto e il fegato inaridito
si farà così un filtro d'amore,
quando le sue pupille sbarrate sul cibo
vietato si saranno spente.

Era presente anche Folia, la riminese
(così si crede a Napoli fra gli sfaccendati e nelle città vicine),
che ama le donne come un uomo
e per magia con l'incanto della sua voce
strappa dal cielo luna e stelle.
E Canidia, livida di rabbia, rodendosi
coi denti l'artiglio del pollice,
senza ritegno disse:
"Dell'opera mia
fedeli testimoni,
Notte e Luna, regina del silenzio,
al tempo dei sacri misteri,
ora, ora assistetemi e l'ira divina
volgete sulle case ostili.
Mentre le fiere si nascondono negli orridi,
abbandonate a un dolce sonno,
fate che i cani di Suburra latrino
contro quel vecchio traditore e tutti ridano,
profumato così com'è di nardo,
che migliore non saprei fare.
Ma perché, perché non hanno effetto i veleni
spietati della barbara Medea?
Con questi, in fuga, si vendicò della figlia
del grande Creonte, la superba rivale,
quando il peplo avvelenato, datole in dono,
tra le fiamme rapì la sposa in fiore.
Nessuna radice nascosta in luoghi impervi,
nessuna erba m'è sfuggita,
e il letto, in cui dorme, tutte le mie rivali
dovrebbe per malia fargli scordare.
Per gli incantesimi d'un'altra maga, ahimè,
più sapiente, se ne va libero.
Ma ora, Varo, dovrai piangere a lungo:
per effetto di un filtro inusitato
correrai da me e a me tornerà il tuo cuore
non più attratto da cantilene marsiche.
Filtro più forte ti preparerò, più forte
te lo mescerò, visto che mi odi,
e il cielo sprofonderà nel mare e su questo
si stenderà la terra,
se tu per me non arderai d'amore
come la fiamma nera del bitume".

A queste minacce il fanciullo più non tenta
d'intenerire quelle scellerate,
ma dopo lo smarrimento rompe il silenzio e
lancia, come Tieste, la sua maledizione:
"I filtri non possono mutare il destino
degli uomini, giusto o ingiusto che sia.
Vi maledirò; e questa maledizione
nessun sacrificio potrà espiarla.
Quando, messo a morte, sarò spirato, innanzi
vi comparirò nella notte come un demone,
larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
perché questo possono i morti,
e pesando sui vostri cuori inquieti,
nel terrore vi ruberò il sonno.
Nei villaggi da ogni parte la folla
vi lapiderà, streghe maledette,
e avvoltoi e lupi sull'Esquilino
dilanieranno le vostre membra insepolte:
questo dovranno vedere i miei genitori,
che, ahimè, mi sopravviveranno".

giovedì 19 marzo 2009

21/12/2012: annullare ogni impegno


Per definizione l'essere umano è finito, incompleto e imperfettissimo. Sebbene qualche superuomo si sentirà sminuito dalla seconda definizione per non parlare dei più immodesti che certamente detesteranno la terza, sarete tutti d'accordo sul finito. E non solo la sua vita avrà una fine, ma anche lo spazio in cui vive. La fine del mondo è ipotesi inevitabile per gli studiosi, ciò che distingue le diverse teorie è il tempo che abbiamo ancora a disposizione. Tralasciando le profezie del celebre Nostradamus che approfondiremo in un secondo momento e di altri oracoli e veggenti, secondo le informazioni del calendario Maya, l'età attuale (la quinta, esattamente quella dell'Oro) sta per terminare: la scadenza sarebbe stata fissata per il 21 dicembre. Non di quest'anno, tarnquilli, ma del 2012. A rendere più credibile e attendibile l'oscuro presagio, i risultati delle precedenti divinazioni. Le quattro ere antecedenti alla nostra (dell'Acqua, del Fuoco, dell'Aria e della Terra) sono terminate con catastrofiche calamità ambientali che hanno spazzato via ogni dubbio. Secondo numerosi ricercatori la fine di ciascuna era Maya è stata causata da un'irreversibile spostamento dell'asse del pianeta che avrebbe invertito il campo magnetico terrestre. Sappiamo che periodicamente il nostro pianeta subisce leggere variazioni dell'inclinazione assiale, ma gli scenari apocalittici sono risvolti a cui nessuno preferisce pensare. In realtà sono davvero molte le profezie che prevedono la fine dell'umanità: a differenziarle, le modalità con cui ciò accade. A partire dai terremoti alle più terribili catastrofi naturali, passando per l'ipotetico impatto di un meteorite e per disastrose guerre nucleari a cui nessuno sopravviverebbe, fino ad arrivare alle fiamme e e al fuoco che dal cielo anticiperebbero l'ora X.

A lasciare a bocca aperta i ricercatori ed i lettori più appassionati non sono le diversità scovate confrontando le diverse teorie, ma le numerose somiglianze che inevitabilmente vengono a galla. Come possono autori diversi, appartenenti ad epoche storiche differenti, giungere alle medesime conclusioni e a rappresentare le medesime scene a tinte fosche? Questo sì che è un bel mistero. Soprattutto perchè i protagonisti del singolare dilemma sono proprio i profeti che tutti conosciamo, grandi viaggiatori per mare, per terra e nel tempo, capaci di spostarsi avanti o indietro negli anni e di comunicare agli altri la triste novella. Allora, miei cari lettori, chi ha paura dei famigerati tre giorni di buio su tutta la terra?


A presto da Calì.

mercoledì 18 marzo 2009

FABIO CALI' CERCATORE DI RICERCHE 11: L'arca incagliata sull'Ararat



Qualche anno fa la voce si levò dalla Russia. Era il 2003 quando a Mosca una spedizione organizzata dall'associazione "Pianeta Sconosciuto" affermò di aver finalmente trovato un'enorme struttura di legname pietrificato corrispondente in forma e dimensioni alla celebre arca costruita da Noè e riportata nel testo biblico. Dove? Sulla catena dell'Ararat, ma sembrerebbe che l'enorme elemento fosse stato già avvistato e fotografato diverse volte dallo spazio. Il ritrovamento sembra ripetere riga dopo riga le parole che chiunque può leggere nella Bibbia circa la sua forma e soprattutto la sua collocazione ("sulle montagne dell'Ararat"). Lunga 150 metri, larga 25 ed alta 15, la struttura pare assomigliare proprio ad una nave il cui ponte equivarrebbe in dimensioni ad un regolamentare campo di calcio. Addirittura il capo della missione, Andrei Polyakov, che dice di aver ottenuto il permesso di salire sull'Ararat direttamente dalle autorità turche che allora era stato chiuso per motivi di sicurezza nel sudest curdo, sostiene di aver trovato anche delle enormi lastre pietrificate ricollegabili direttamente alle ancore. In realtà, talmente tante, da far pensare ad un'enorme flotta di navi piuttosto che ad un'unica imbarcazione. C'è da aggiungere che secondo fonti locali curde citate direttamente dal capo della spedizione appena nominato, l'arca si sarebbe spezzata in due parti in seguito ad un violentissimo e catastrofico terremoto avvenuto nel 1948 e che, pertanto, ciò che emerge al momento in superficie risulta essere solo una piccola parte dell'intera struttura presente. Insomma, la classica punta dell'iceberg. Da allora tante sono state le congetture e tanti gli altrettanti dubbi in merito. Non dobbiamo dimenticare però che i russi non furono i primi a gridare l'allarme ma che tanti furono, prima del 2003, i titoli sensazionalistici apparsi sui maggiori quotidiani del mondo che riportavano la notizia del grande ritrovameno. Già nel 1960, per esempio, Life Magazine presentava in prima pagina l'immagine di una grande struttura simile a quella di una barca che emergeva proprio vicino all'Ararat e tanti furono gli appassionati che decisero di andare a giudicare di persona. I miti, come le leggende più ancestrali, hanno un fascino particolare a cui non sappiamo resistere. Il problema è capire se stiamo ancora leggendo una storia o se ci troviamo invece di fronte alla realtà più palese.

Calì vi saluta, alla prossima scoperta.

martedì 17 marzo 2009

Scoperto sulla via Flaminia il mausoleo di un patrizio romano


Una sensazionale scoperta è avvenuta in questi giorni sulla via Flamina, l'antica via consolare che collegava Roma con l'antica Ariminum, l'odierna Rimini: un mausoleo pressochè integro e completo del rivestimento marmoreo e del monumentale timpano, cosa assai rara in un contesto archeologico come quello di Roma, in cui la continuità abitativa della Città Eterna ha spesso portato ad asportazioni di vario genere dai monumenti più insigni. Il ritrovamento, avvenuto nel cantiere edile dell'immobiliarista e costruttore Bonifaci, ha messo in luce questa maestosa struttura, forse appartenente all'imperatore Macrino, dapprima prefetto del pretorio di Caracalla, poi traditore dello stesso, come spesso avviene in posizioni di elevato potere (il prefetto del pretorio era secondo solamente all'imperatore). È stata inoltre ritrovata una statua togata, forse ritratto dell'imperatore.
Le fonti narrano che nel 217 Caracalla, recandosi in Oriente per preparare una campagna militare contro i secolari nemici di Roma, i Parti, portò con sè anche Macrino. Prima di intraprendere la battaglia vera e propria, Caracalla si recò a visitare un tempio, per compiere i dovuti sacrifici e le dovute preghiere alle divinità tutelari: al suo seguito vi era anche Macrino. Nonostante le vicende siano torbide e vecchie di duemila anni, è certo che l'imperatore morì a questo punto del viaggio, e che il suo prefetto del pretorio si autoproclamò imperatore, senza peraltro ricevere la nomina dal Senato, cosa straordinaria ed avvenuta per la prima volta nella storia di Roma. Alla notizia della morte di Caracalla, i Parti ne approfittarono ed invasero i territori romani: Macrino dunque decise di trattenersi in Oriente, ma lo scontento aleggiava sia a Roma, priva del suo imperatore, sia fra le truppe legionarie, infelici a causa della recente riforma dei pagamenti che privilegiava i veterani rispetto alle reclute, promulgata proprio da Caracalla.
Alle donne dell'entourage del defunto imperatore, ovvero quello che restava della famiglia imperiale dei Severi, Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna nonchè madre di Caracalla e le figlie Giulia Soemia Bassiana e Giulia Mamea, fu intimato di lasciare il palazzo imperiale e di far ritorno in Siria. Queste così cominciarono a complottare contro Macrino, in favore del figlio di Giulia Bassiana Eliogabalo. Nel 218 le truppe del neoimperatore usurpatore furono sconfitte in battaglia. Macrino fuggì in Asia cercando appoggio dai Parti e dal figlio, ma fu trovato e giustiziato come usurpatore. Stessa sorte toccò al figlio Diadumeniano, precedentemente nominato Cesare, ossia naturale successore del sovrano.

Da Fabio Calì è tutto. Alla prossima scoperta.

lunedì 16 marzo 2009

La Sfinge


Da migliaia di anni, ormai, un enigmatico monumento osserva, impassibile, il sorgere del Sole ed il volgere degli astri: è la Sfinge della piana di Giza, alta ben venti metri, forse ritratto del faraone Chefren (2500 a. C. circa) e probabilmente ricavata da una grande roccia rimasta nella cava dalla quale si attinsero i blocchi per costruire la piramide di Cheope. Le frequenti tempeste di sabbia spesso hanno attentato alla "salute" di questo maestoso manufatto umano (?), rischiando di ingiottirlo; una leggenda narra che intorno al 1400 a. C. , nel momento in cui la Sfinge era sepolta fino al collo, un principe si sia fermato a riposare alla sua ombra: in un sogno profetico la Sfinge gli parlo, riferendo che se fosse stata liberata dai vincoli della sabbia, egli sarebbe diventato faraone. Il principe, destatosi, diede inizio ai lavori: questo principe sarà il futuro faraone Tuthmosis IV.
Custode delle porte e degli edifici, legata al culto del dio Horus, la Sfinge è sempre stata avvolta da un alone di mistero.

Questo è quanto ci viene spesso insegnato e divulgato. Ma c'è dell'altro, che riporterò in questa breve inchiesta: nel 1991 fu dimostrato, mediante varie prove archeologiche e scientifiche, che la Sfinge fosse molto più antica dei monumenti circostanti, addirittura di 8000 anni, ergo tremila anni prima della nascità della civiltà egizia, portando non poco clamore negli ambienti accademici.
Inoltre si scoprì che nella parte anteriore della Sfinge vi erano i segni di agenti atmosferici fino ad una profondità di due metri e mezzo, mentre nella parte posteriore tali segni arrivavano al metro e mezzo: questo significa che la parte anteriore della Sfinge è assai più antica di quella posteriore, probabilmente risalente al 10500 a. C. , la cosiddetta era del Leone.

Osservando la testa, inoltre, risulta che essa sia in condizioni qualitative migliori rispetto al resto del corpo, indizio forse che porterebbe a pensare che il viso, che oggi noi tutti osserviamo, non sia quello originario. Inoltre la Sfinge non si trova sulla stessa linea delle piramidi, aspetto assai strano, in quanto gli architetti egizi non tralasciavano mai questi particolari.

Quale sarà la verità?
Da Fabio Calì, per ora, è tutto.

domenica 15 marzo 2009

Genesi di un'ordine: i Cavalieri Templari



"...Nello stesso anno (1118), alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e l'obbedienza e rifiutando ogni proprietà..." Ecco cosa scriveva Guglielmo di Tiro a proposito dei Templari, nati come ordine monastico-militare di ispirazione cistercense che traeva sostegno dall'autorevole figura di Bernardo di Chiaravalle, predicatore, teologo e poi santo. L'origine dell'ordine dei Poveri Compagni d'armi di Cristo (Pauperes commilitones Christi templique Salomonis), una delle prime e più note congregazioni religiose cavalleresche cristiane, sembra risalire intorno agli anni successivi alla prima Crociata (1118-1120) quando quasi tutti i cavalieri avevano fatto ritorno in Europa e le ultime milizie erano ormai rimaste arroccate negli esigui centri abitati; in ogni caso l'ordine assunse importanza solo a partire dal 1126 quando, con l'ingresso del conte Ugo di Champagne, cominciarono e pervenire lasciti e donazioni. Il nucleo originario fu fondato da Ugo di Payns e Goffredo di Saint-Omer, compagni d'armi, ed altri cavalieri che decisero di tutelare e difendere i numerosi pellegrini europei in visita a Gerusalemme dai temibili predoni che infestavano le strade della Terra Santa. L'ordine verrà ufficializzato dalla bolla papale di Innocenzo II (Omne Datum Optimum) per dissolversi irrimediabilmente tra il 1312 ed il 1314 in seguito ad un drammatico e disastroso processo. Sono molte le informazioni che possediamo, ma sono altresì numerosi i misteri che ruotano intorno a quest'ordine carismatico e storicamente rilevante. A parte i classici simboli per cui li ricordiamo (la croce rossa su campo bianco ed il cosiddetto beauceant, vessillo -bandiera o scudo- diviso in due parti simmetriche il cui bicromatismo -bianco e nero-, molto diffuso tar le matrici sigillari e criptiche di origine medievale, pare rappresentasse per alcuni il dualismo tra il Bene e il Male, per altri il riferimento ad aspetti esoterici e al contrasto tra forze cosmiche opposte e complementari), sappiamo con certezza che al momento dell'investitura, i membri di questa gerarchia assai rigida facevano voto di castità, obbedienza e povertà esattamente come in qualsiasi altro ordine monastico, lasciando ogni loro proprietà ed eredità all'intera congregazione. Da non dimenticare nemmeno che vi erano ben quattro divisioni di confratelli (i cavalieri, equipaggiati come cavalleria pesante, i sergenti, come cavalleria leggera e provenienti da classi sociali più umili, i fattori, amministratori delle proprietà dell'Ordine, ed infine i cappellani, ordinati sacerdoti che si prendevano cura delle esigenze spirituali della congregazione) e che sebbene la maggior parte dei templari si dedicasse alle manovre militari, alcuni si occupavano persino di attività bancarie poichè frequentemente l'Ordine trattava le merci preziose dei crociati. Le ricchezze accumulate venivano impiegate per edificare numerose fortificazioni in Terra Santa, probabilmente le unità di combattimento più disciplinate e meglio addestrate del loro tempo. C'è chi li considera ladroni, chi dei precursori dei moderni corpi speciali, certo è che dei Templari non si finirebbe mai parlare. Tanto ci sarebbe ancora da dire, troppo da scoprire. Questo è solo l'inizio.



Ecco perché Calì vi dà l'appuntamento alla prossima puntata.

sabato 14 marzo 2009

A Lucca non perdetevi la Pietra del Diavolo



Oggi siamo a Lucca, immersi fino alle orecchie in uno dei misteri più singolari d'Italia, e più precisamente a Palazzo Bernardini, un edificio costruito tra il 1517 ed il 1523. A differenziarlo da qualsiasi altra struttura simile o nelle vicinanze non è la data di edificazione, ma uno stranissimo dettaglio che tuttora conserva. Guardando all'altezza della prima finestra destra dell'enorme portone principale, infatti, non potrete che imbattervi nella famigerata ed ormai celebre Pietra del Diavolo, uno degli stipiti, ma incurvato innaturalmente. Se vi mettete ad osservarla da lontano, la curvatura vi sembrerà così accentuata da farla apparire quasi irreale, fatata, incantata, come di legno o di qualsiasi altro materiale più malleabile; se poi vi avvicinate nuovamente a toccarla, non avrete alcun dubbio sul suo materiale: la pietra anomala è davvero di pietra. Durissima. Quando l'uomo si trova di fronte ad un'incongruenza di cui non riesce a comprendere la ragione, ci scrive su un racconto. Tutt'al più una leggenda. Anche in questo caso la Pietra del Diavolo deriverebbe da un particolare evento, episodio in cui il diavolo avrebbe convinto i signori Bernardini a costruire un palazzo imperiale nel luogo esatto in cui avrebbe trovato un'icona miracolosa della Madonna, tanto venerata in città. L'immagine verrà distrutta per lasciare il posto proprio all'edificio e nel punto in cui si trovava, la pietra s'incurvò irrimediabilmente. Tanti sono stati fino ad oggi i tentativi tesi a raddrizzarla, persino utilizzando la resistenza di una struttura in ferro, ma ogni sforzo si rivelò vano. Perfettamente inutile. Ad oggi la pietra è sempre lì, visibile a tutti e minacciosa più che mai, testimone di un passato inverosimile e di presagi lontani.



Da Calì è tutto, al prossimo mistero.

giovedì 12 marzo 2009

Sirene e dugonghi, ecco cosa c'è di vero



Sirena: figura antropomorfa metà pesce e metà donna protagonista di miti, leggende, libri, pellicole e cartoni animati. Questa è la definizione tradizionale del termine, quella che chiunque può tovare su testi, enciclopedie e dizionari. Sull'esistenza di meravigliose principesse marine tra le pagine dei libri nessuno può nutrire alcun dubbio: le sirene hanno da sempre abitato la tradizione popolare ed i racconti tramandati di padre in figlio tanto che chiunque di noi dovrebbe averne l'immagine ben chiara nella mente. Se secondo la tradizione orientale la sirena si presenta come una creatura a metà strada tra la donna ed un uccello, pertanto più comunemente associata all'arpia che con il suo canto attirava i marinai e li faceva naufragare sulle loro isole per divorarli, secondo alcuni miti greci, invece, vennero generate da tre gocce di sangue perse da Acheloo durante un combattimento, lo stesso guerriero che altri racconti riconducono al loro progentiore, unitosi con Mnemosine, Calliope o Tersicore. Per altre narrazioni ancora furono trasformate da Demetra per andare a cercare Persefone che Plutone aveva rapito o tramutate dalle Muse, invidiose del loro meraviglioso e suadente canto angelico. Infine siamo a conoscenza di alcuni miti che ricollegano la loro trasformazione ad un atto compiuto da Afrodite che decise di punirle per la loro continua fuga dai piaceri carnali. A prescindere dalla loro origine (ricordiamo che il primo a menzionarle fu Omero) e dalle più o meno fantasiose descrizioni che delineavano una creatura il cui canto infondeva nei marinai che l'ascoltavano saggezza ed onniscenza e che poteva addirittura frenare la forza dei venti, è stato scientificamente ipotizzato che questa mitologica figura potesse essere assimilabile al cosiddetto dugongo, mammifero marino diffuso nell'antichità anche nel Mar Mediterraneo con cui avrebbe in comune diversi elementi fisici (le ghiandole mammarie toraciche e la consuetudine di allattare i cuccioli sostenendoli con le pinne anteriori). L'unico aspetto che regge ben poco nella teoria che assimilerebbe le due creature riguarda la bellezza e la voce melodiosa che solitamente vengono attribuite alle sirene, immagine che va a cozzare nettamente con quella dei dugonghi, tutt'altro che avvenenti. Parola di Cristoforo Colombo. E se pensiamo che persino recentemente (luglio 2005) un video amatoriale inchioderebbe l'immagine di una creatura perfettamente identica a quella della sirena perfetta, c'è da dire che gli avvistamenti sono davvero numerosi, dall'antichità fino, appunto, ad oggi e in ogni parte del mondo. Il Dugongo, al contrario, non era onnipresente. Viene dunque da chiedersi chi fosse quella figura sottomarina immortalata dall'occhio della videocamera del subacqueo e che ricorda in tutto e per tutto la silhoette della sirena: esistono davvero queste dee del mare? Bella domanda, lo so. Bella quanto qualsiasi meravigliosa sirenetta.



Da Calì per ora è tutto.

mercoledì 11 marzo 2009

Il quadrato di Sator: gioco o mistero?



Per i veri appassionati di misteri aritmetici e di curiosità enigmistiche, il quadrato di Sator rappresenta l'apoteosi del gusto. Un struttura a forma di quadrato magico composta da cinque parole latine (Sator, Arepo, Tenet, Opera, Rotas) che se prese in considerazione di seguito, dall'alto in basso o da sinistra verso destra, originano una frase che rimane identica a se stessa, qualsiasi sia il verso di lettura. Dicesi palindromo, ma dicesi, soprattutto, mistero. Già perché quello di Sator non è un semplice quadrato magico che tanto assomiglia a quelli numerici, ma è altresì una traccia visibile su un sorprendentemente vasto numero di reperti archeologici sparsi in Europa. Santiago de Compostela, il Duomo di Siena, l'abbazia di Sermoneta, il castello di Rochemaure, senza contare i rinvenimenti in Inghilterra ed Ungheria, sono soltanto alcuni esempi dei luoghi in cui il famigerato quadrato misterioso ha fatto la sua comparsa. Il caso più esemplare, però, resta tuttora quello di Pompei quando durante gli scavi del 1925 ne venne ritrovata l'incisione sulle scanalature di una colonna della celebre Grande Palestra: è proprio a partire da questa scoperta e dagli studi sul risultato della sua frase palindroma che il quadrato di Sator viene detto anche "latercolo pompeiano". C'è persino chi lo trova tra le mura domestiche, come un gruppo di ragazzi siciliani che nel luglio del 2007 ne hanno trovato uno in provincia di Catania, sulle travi dismesse di un vecchio scheletro d'abitazione, accompagnato da un geroglifico, da un'epigrafe latina e dai disegni di un oplita greco (il soldato della fanteria pesante dell'antica Grecia). Il perché di tanta diffusione è presto detto: a partire dall'indecifrabile significato espressamente letterale della frase (il termine Arepo non è strettamente latino), le congetture si sono moltiplicate fino ad arrivare all'immagine di un seminatore che tiene con cura le ruote del suo carro. A parte le prosaiche allusioni alle più consuete pratiche agricole, non manca un evidente collegamento al testo evangelico che lo stigmatizzerebbero come un autentico simbolo cristiano. La prima ipotesi a riguardo fu del celebre studioso Grosser che analizzando con notevole spirito enigmistico l'insieme delle lettere che componevano il quadrato, ottenne un ipotetica soluzione al dilemma: una croce nella quale la parola Paternoster si incrocia esattamente sulla lettera N, lasciando fuori due lettere da porre ai margini come inizio e fine di tutto. Un'interpretazione apocalittica, dunque, rafforzata da numerose altre analisi e smentita, invece, da chi rifiuta categoricamente l'origine cristiana del palindromo. Gli anagrammi possibili avanzati sono davvero molti, altrettanti gli studi affettuati (c'è non solo la tesi di un possibile collegamento ai Cavalieri Templari, ma persino quella secondo la quale il quadrato di Sator sarebbe la mappa universale per la distribuzione postale nei primi secoli dell'impero romano): ci si chiede pertanto se esista davvero una risposta unica ed univoca a questo curioso mistero che oggi suscita infinite congetture ermetiche, cabalistiche e negromantiche in chi non si accontenta delle classiche parole crociate a schema libero o del sudoku.




Dal vostro Calì per ora è tutto.

sabato 7 marzo 2009

FABIO CALIì CERCATORE DI RICERCHE 10: San Galgano


La figura Galgano Guidotti (1148-1181) è avvolta in un alone di mistero e simbologia a noi poco decifrabili. Nato a Chiusdino (nel senese), fu, sin da piccolo, destinato ad una vita da guerriero, a cui si dedico in un primo momento. Ma stancatosi di soprusi, violenze e stupri, decise di convertirsi e ritirarsi a vita eremitica, pur sempre restando un cavaliere, stavolta votato a Dio: gli apparve infatti San Michele Arcangelo che invitò Galgano a seguirlo. Il cavaliere attraversò un lungo ponte sovrastante un fiume ed un mulino, simbolo della caducità dei beni materiali. Attraversato il ponte, raggiunse Montesiepi, dove vide un edificio rotondo ed i dodici apostoli: proprio qui ebbe la visione di Dio e decise di convertirsi. Durante i suoi spostamenti il cavallo rifiutò di proseguire e Galgano, pregando intensamente il Signore, arrivò nuovamente a Montesiepi, questa volta il cavallo lo condusse senza indugio, a briglie sciolte. Qui, non avendo del legname per farne una croce, ne creò una infiggendo la propria spada nella roccia, trasformando il suo mantello in saio. Una voce, nel frattempo, lo invitò a fare di Montesiepi il luogo dove avrebbe passato il resto della sua vita: cominciò così la vita da eremita, condotta nutrendosi di erbe e dormendo in terra, sconfiggendo più volte il diavolo che lo tentava e cercava di dissuaderlo dal suo elevato proposito.

Un giorno che Galgano era assente, in visita alle basiliche romane, degli invidiosi cercarono di estrarre la spada nella roccia e, non riuscendovi, la spezzarono: Dio li punì tutti e tre e solo uno, invocando Galgano, ebbe salva la vita. Galgano, una volta tornato, trovò la spada spezzata, e Dio, per consolarlo, gliela fece miracolosamente ricomporre.

L'eremita costruì poi un romitorio dove passò il resto dei suoi giorni, fino alla morte, annunciatagli da Dio in una luce immensa.

La figura di Galgano rappresenta palesemente il travaglio iniziatico, la lotta di quest'uomo contro i propri bassi istinti, che riesce poi a scavalcare, e la spada, da strumento di morte, diviene strumento di pace.

L'alone di mistero che circola attorno a questi luoghi, dove in seguito fu costruita anche un'abbazia di cui restano delle maestosa vestigia (Abbazia di San Galgano, che segna l'inizio del Gotico in Toscana), richiama alla mente anche la presenza dei cavalieri Templari, che in questi luoghi si diedero alla ricerca del Santo Graal, sempre presente in ogni bella leggenda medioevale.

Da Fabio Calì anche per oggi è tutto.

venerdì 6 marzo 2009

Sandrone, il nostro antenato tropicale


L'oreopiteco, "l'unico sopravvissuto dell'Europa tropicale", è oggi considerato un ominoide fossile endemico del Miocene superiore, periodo che come sappiamo va da dieci a cinque milioni di anni fa. Sembra un esemplare a noi lontanissimo, quasi sconosciuto, oltretutto se pensiamo a lui come l'ominide più simile all'orango che popolava il nostro continente quando ancora era tropicale, ma ad analizzare gli ultimi dati raccolti si rivela più vicino di quanto pensiamo. Gli ultimi esemplari del primate sarebbero venuti alla luce 50 anni fa in provincia di Sassari e vicino Grosseto: un bipede dalle zampe corte e l'alluce alquanto distaccato dal resto del piede che rendeva la sua andatura piuttosto incerta ed altalenante, con una testa minuta, due grandi occhi e grandi mani con cui si procurava il cibo, sostanzialmente foglie e bacche. La sua dieta a base di vegetali è confermata dalla recente analisi dei denti con l'apparecchiatura per la luce di sincrotrone di Grenoble: il risultato? Canini molto corti e dentatura quasi dall'aspetto collinare, per niente simile a quella di un qualsiasi animale carnivoro. Sandrone è esattamente il nome che i minatori di Baccinello, collaboratori dei lavori di recupero nelle cave di lignite in cui l'esemplare di un metro e dieci venne trovato, e questo ennesimo rappresentante di un gruppo piuttosto ampio di scimmie antropomorfe sembra davvero essere l'ultimo abitante di quella che fu l'Europa Tropicale. Diffusione a parte, l'oreopiteco fu un animale straordinario, unico, di cui sappiamo ancora molto poco ma che rappresenta la specie chiave per accedere alle fasi più ancestrali della nostra lunga, lunghissima evoluzione.

Calì vi saluta e vi dà appuntamento alla prossima scoperta.

giovedì 5 marzo 2009

Philadelphia experiment: scienza o fantascienza?



C'è chi è convinto del complotto chiamandolo Project Rainbow e chi sostiene fermamente che non sia assolutamente da considerare una semplice leggenda. Anzi, molto di più. Quello di Philadelphia, è un esperimento segreto che la US Navy avrebbe condotto il 28 ottobre 1943 nei Philadelphia Naval Yards in Pennsylvania e che, grazie all'utilizzo di potentissimi magneti, avrebbe fatto scomparire una nave da guerra nel porto per farla poi rinvenire a Norfolk, distante diverse centinaia di chilometri dal luogo d'origine. La teoria di base per sperimentare un innovativo e geniale sistema di creazione di un campo d'invisibilità coordinato dal dott. Franklin Reno, è quella einsteiniana del campo unificato che presuppone una reciproca relazione delle forze comprendenti gravità e radiazione elettromagnetica. Il risultato sarebbe stato ottenuto tramite la generazione di un potente campo magnetico che avrebbe curvato la luce riflessa dalla nave, allestita con tre generatori di alta potenza e rendendola di fatto invisibile. E' stato poi detto che un test era stato effettuato soltanto sei giorni prima causando nausee all'intero equipaggio e che in seguito all'esperimento alcuni membri avrebbero sviluppato gravi malattie mentali, che altri sarebbero stati trovati parzialemnte fusi col metallo del ponte e che altri ancora sarebbero addirittura completamente svaniti nel nulla. In realtà la leggenda nasce per mano di Morris K. Jessup, astronomo americano dilettante e scrittore di numerosi testi sugli UFO, che affermò di aver ricevuto tre lettere di Carlos Miguel Allende in cui citava espressamente l'esperimento in causa e confessava la scomparsa di alcuni partecipanti. Il seguito è piuttosto controverso perché pare che alla richiesta di approfondimento del ricevente, Allende abbia dichiarato di aver dimenticato ogni cosa e di poterla recuperare solo tramite ipnosi. I contatti tra i due sembrano interrompersi a questo punto della storia, ma è proprio da questo momento in poi che la diffusione della notizia e lo straordinario numero di pubblicazioni che ne seguì si accanirono su questo singolare e presunto accadimento. Partendo dal presupposto che ad oggi non esistono fonti controllabili sulla vicenda in questione, vanno comunque ricordati alcuni episodi. Durante una conferenza un certo Al Bielek non solo confermò l'avvenuto esperimento, ma si presentò come uno dei membri sopravvissuti dell'equipaggio. Solo dopo un'attenta verifica, emerse che non solo Bielek non era a Philadelphia quel giorno, ma che aveva tentato più volte di esporsi con affermazioni mendaci per supportare le proprie teorie. Da altre ricerche è venuto alla luce il nome di Allende ed è stato accostato ad un certo Carl Meredith Allen, studioso americano vittima di gravi disturbi mentali e preda di numerose allucinazioni. Inoltre in occasione di un incontro tra veterani dell'equipaggio della Eldrige, non avrebbe mai sofferto di sparizioni nel nulla di componenti del suo valido e fedele equipaggio. Senza contare che secondo il diario di bordo, la nave sotto inchiesta, precisamente la SS Andrew Furuseth, si trovava in crociera nel Mar Mediterraneo e ci sarebbe rimasta fino al gennaio dell'anno seguente. Ovviamente di fronte a tanti riscontri sembra che l'esperimento non sia mai avvenuto o che, a volerci davvero credere, sia esistito soltanto nella mente fantasiosa ma corrotta di fanatici in cerca di gloria e di singolari personaggi in preda a fatali percezioni illusorie.

E anche per Calì è il momento di sparire. Alla prossima miei cari lettori.

mercoledì 4 marzo 2009

L'allineamento magnetico delle mucche



Pnas ha appena lanciato una bomba...animale. Secondo la rivista ufficiale della U.S. National Academy of Sciences, infatti, le mucche sarebbero dotate di una sorta di bussola corporea interna, in base e grazie alla quale sarebbero in grado di pascolare e di riposare rivolte esattamente nel verso del campo magnetico terrestre. La loro propensione ad assumere un'omogenea posizione era già nota, ma finora, collegata soltanto a fenomeni di tipo atmosferico, non magnetico. Ad ogni modo l'ipotesi sarebbe stata smentita categoricamente dalle informazioni raccolte, pensate, su Google Earth. Ben 11000 capi di bestiame presi come oggetto di studio, infatti, avrebbero dimostrato un'allineamento da parte dell'asse del corpo delle mandrie verso il Nord o il Sud magnetico. Siamo abituati a ricerche smentite, poi riconfermate, poi nuovamente negate. Ma su questo studio sulle mucche e su una loro presunta bussola interna, c'è davvero da discutere. Un argomento certamente insolito ma ugualmente interessante per tutti coloro che vogliono entrare nei meandri più singolari della scienza: una disciplina da cui, si sa, possiamo ormai davvero aspettarci di tutto. Persino una mandria di mucche dotata di bussola interna di serie. L'optional? L'allineamento al campo magnetico, da scegliere nelle varianti terrestre, Nord e Sud.

Alla prossima curiosità scientifica dal vostro Calì

martedì 3 marzo 2009

L'asteroide che potrebbe far luce sulle comete


L'inzio sembra ai limiti dello straordinario, la fine sottolinea le grandiose potenzialità della scoperta. Un gruppo composto da astronomi canadesi, americani e francesi armati del telescopio Canada-France-Hawaii ha scoperto di recente un singolare asteroide la cui sensazionale orbita potrebbe davvero far luce sull'origine delle comete. La notizia, tra l'altro seguita da osservazioni di conferma in Arizona e in Cile, appena è stata annunciata dal Consiglio nazionale delle ricerche del Canada, ha fatto il giro del mondo ed il nome dell'asteroide, 2008 KV42, è entrato nelle conversazioni quotidiane di esperti, appassionati ed addetti ai lavori. La sua bizzarra orbita, tra l'altro inversa intorno al sole, lascerebbe pensare che l'asteroide avrebbe potuto essere attirato dalla nube di Oort, ipotetica sfera che circonderebbe il nostro sistema solare a grande distanza e che conterrebbe addirittura miliardi di comete, proprio all'interno del nostro sistema. Questa sensazionale scoperta pertanto, non solo potrebbe finalmente indicarci il modo in cui le comete riescono ad attraversare la nube per poi trasformarsi in oggetti del tutto simili alla celebre cometa di Halley, ma rappresenterebbe il presunto anello mancante fra la nube di Oort interna e tutte le altre comete di cui abbiamo sentito parlare e di cui sentiremo ancora parlare per molto, molto tempo. La scoperta di 2008 KV42 è il primo oggetto conosciuto della regione di Oort a possedere un'orbita retrograda, perciò inversa, e potrebbe davvero rimettere in discussione e gettare nuova luce su molti dati che possediamo sul nostro sistema solare. Il cielo, a quanto pare, ci riserva sempre nuove sorprese. Cosa avrà in serbo per il futuro?

Lo saprete continuando a seguire il vostro Calì che per il momento vi saluta.

lunedì 2 marzo 2009

Splendor Solis, scrigno dell'alchimia


Immaginiamo di possedere un'antica libreria dove sui suoi polverosi scaffali troneggino testi magici colmi di segreti e codici da decifrare. Tra questi non dovrebbe assolutamente mancare il celebre Splendor Solis, manoscritto alchemico risalente al XVI secolo attualmente custodito presso il Museo Prussiano Statale di Berlino. Un testo caratterizzato da ben ventidue raffigurazioni, un numero che ricorre anche negli arcani maggiori dei tarocchi e nelle lettere ebraiche. Le illustrazioni sono esattamente disegnate su fogli di pergamena (il cosiddetto vellum) ottenuti con pelli di vitello o di pecora, bordati totalmente in oro e piuttosto resistenti al tempo e alle varie correzioni. Le copie si sono moltiplicate nel corso del tempo ed alcune di esse, seppur di epoca più tarda rispetto all'originale ma altrettanto belle, suggestive e di pregevole fattura, sono attualmente custodite nelle capitali di Parigi e Londra. Ma di cosa tratta esattamente questo manoscritto misterioso? In realtà le simbologie presenti nello Splendor Solis esprimono chiaramente la natura e lo sviluppo di vari processi alchemici, dalla morte alchemica alla rinascita del grande Re. Sono facilmente individuabili anche sette ampolle, ciascuna associata ad uno specifico pianeta del nostro sistema solare, in cui gli animali collegati al Re e alla regina, subiscono evidenti trasformazioni. Come accade per qualsiasi altro testo rivestito da un'aura di grande fascino e mistero, anche per lo Splendor Solis l'origine e la paternità dell'opera risultano più che incerti, improbabili da definire con assoluta certezza. La tesi più accreditata è che a produrlo sia stato il leggendario insegnante di paracelso, Salomone Trismosin, ma niente può davvero illuminare completamente la strada su cui un manoscritto del genere si è mosso finora. Alla luce della simbologia rilevata e più o meno totalmente chiarita, lo Splendor Solis risulta molto interessante non solo dal punto di vista formale o contenutistico, ma fondamentale dal punto di vista storico poiché getta una luce nuova su processi anticamente molto diffusi e su una pratica, quella alchemica, di cui molti facevano uso e che ancora oggi ci appare come un'attività pregna di misteri ancestrali e credenze quasi extraumane. Nessuno è in grado di resistere al fascino che l'alchimia ha sempre esercitato sugli uomini, neanche la modernità che ancora oggi continua ad analizzarla e a studiarla in laboratorio.

E anche oggi come per magia, Calì vi saluta e scompare.

domenica 1 marzo 2009

Il serpente a sonagli che ispirò i Maya


Di uomini terrorizzati e fuggiti alla vista di un serpente più o meno lungo e più o meno pericoloso, ne ho visti davvero tanti. Ma quando mi sono trovato con un gruppo di collaboratori in America di fronte al re dei rettili, il grande serpente a sonagli, ho capito perché fosse l'animale tanto venerato dall'antico popolo Maya. Il culto di questa specie appartenente alla famiglia dei Viperini è alla radice della religione di questa civiltà che adorava i disegni presenti sulla pelle dell'animale, diversi da qualsiasi altra specie di serpente. Ad interessarli particolarmente pare che fossero i rombi e i quadri intrecciati sul dorso della vipera Cascabel, pericolosissima specie estremamente diffusa nel centro e nel sud dell'America, che tra l'altro avrebbe ispirato la soluzione a molti problemi di carattere logico e soprattutto logistico. Studi recenti ed approfondimenti di grande attualità avrebbero riscontrato che molti edifici Maya, tra cui quelli della città di Uxmal, fondata intorno al VI secolo d.C. nella penisola dello Yucatan ed ora uno dei siti archeologici più visitati ed interessanti di tutto il Messico, vennero costruiti sulla base dello schema riprodotto sulla pelle dell'animale. I Maya avrebbero sfruttato il disegno centrale, il Canamayté, costituito da riquadri singoli intrecciati, adoperandolo nell'architettura e come modello matematico. Sarebbe stato proprio questa raffigurazione ad ispirare le piramidi Maya con la celebre scala che scende dal centro. Neanche a dirlo che l'animale fu subito proclamato sacro e considerato maestro di scienza, saggezza e geometria. Cascabel a parte, i Maya hanno sempre prediletto gli Ahau Can, ovvero i serpenti a sonagli, differenti da qualsiasi altra specie e consiglieri di fregi e modelli architettonici più prolifici di qualsiasi altro rettile. Addirittura lo schema sarebbe stato riprodotto non solo sugli edifici, ma anche su vari utensili, oggetti d'arte e persino sui ricami dei costumi dei contadini di allora. Quello del Cascabel è un simbolo estremamente ricco di fascino e storia la cui ricchezza venne applicata dai grandi costruttori Maya in molti ambiti della vita quotidiana. Ne subirono completamente il fascino ed ancora oggi, a parlare dell'eredità che ci hanno lasicato in dono, è lo straordinario spirito del Gran Signore Serpente.

Per ora da Calì è tutto.

sabato 28 febbraio 2009

Necropoli e tesori a Salonicco


Durante i lavori preparatori alla costruzione e allo sviluppo della rete della metropolitana a Salonicco, è stato rinvenuto un vero e proprio tesoro ricco di monete di bronzo, gioielli, corone d'oro e vasi in diversi materiali, forme e dimensioni. La ricchezza più grande però non consiste soltanto nei beni preziosi ritrovati, ma in una vera e propria necropoli macedone. Il Ministero della Cultura ha infatti annunciato la scoperta di ben 1414 tombe risalenti ad un'epoca compresa tra il terzo secolo a.C. ed il quarto d.C., dichiarazione seguita dalla confessione di un'altro rinvenimento, quello di 43 tombe a Pella, risalenti anch'esse tra il quinto al terzo secolo a.C. Pella, tra l'altro, non fu solo una delle antiche capitali della Macedonia, ma il luogo esatto in cui nacque il grande e leggendario Alessandro Magno. Anche questa necropoli pare contenga gioelli ed altri preziosi oltre a ben conservate armi di ferro ed armature di bronzo collocate nelle tombe di 20 guerrieri. Tornando a Salonicco dobbiamo, per dovere di cronaca, specificare che i lavori per la costruzione dei 12 km di rete metropolitana inizieranno a breve e si concluderanno prevedibilmente entro il 2012. Questa non è che l'ennesima conferma di quanto il moderno possa continuare ad incidere sul passato e del legame tra i ritrovamenti e la civiltà macedone. Le corone d'oro rinvenute a Salonicco, infatti, sono piuttosto simili a quelle ritrovate nella celebre necropoli reale di Vergina, prima capitale del regno di Alessandro Magno a 20 km. dall'altra città nominata. Chi tra gli appassionati di scoperte e misteri archeologici può ancora lamentarsi della metropolitana? Finalmente oltre a farci risparmiare tempo per raggiungere due luoghi distanti, ci dà una mano anche a far luce su dilemmi arcani. Un punto in più per l'uomo moderno. E per il grande tesoro macedone.

Da Calì per ora è tutto.

venerdì 27 febbraio 2009

La Signora della Maschera nasconde un segreto?


Durante gli scavi nel centro della capitale peruviana, esattamente nell'area di Huaca Pucllana, un gruppo di esperti archeologi sono stati i sensazionali protagonisti di una scoperta davvero storicamente rilevante: accanto ad una tomba praticamente intatta appartenente alla cultura preispanica Wari, che si esapnse nella zona appena citata tra l'anno 550 e l'800 d.C. pertanto antecedente all'avvento degli Incas, sarebbero stati recuperati anche tre involucri (i cosiddetti fardos) che contenevano corpi di esseri umani, due donne ed un bambino. Per quanto riguarda quest'ultimo, alla luce dei rituali della cultura Wari, sarebbe stato sacrificato per accompagnare nell'aldilà la donna sepolta. Gli archeologi, trovandosi di fronte ad una tomba multipla, hanno potuto concretizzare l'ipotesi di poter finalmente far luce sui rituali e sulle pratiche dei Wari in quella zona particolare. E' stato anche notato che una delle due donne, sicuramente di rango sociale elevato poiché solo alle nobili era riservata questa usanza, indossa una maschera sul volto. La conferma che la "Signora della Maschera" sia indiscutibilmente una donna è confermato dal ritrovamento del corredo funerario composto da un telaio e da alcuni strumenti tessili. Questa affscinante scoperta nel cuore del Perù getta certamente nuova luce sulla storia e sulle pratiche Wari, sebbene oltre a nuove certezze, siano emerse contemporaneamente nuove perplessità. Pare infatti che l'iconografia della maschera ritrovata ricordi in modo davvero straordinario le raffigurazioni mesopotamiche che tutti conosciamo, sumeriche in particolare, vicine per quanto riguarda il taglio ed il colore degli occhi e i tratti di naso e bocca. Pura coincidenza o ennesimo mistero?

La risposta a voi, miei cari lettori. Per Calì è venuto il momento di congedarsi.

giovedì 26 febbraio 2009

Tra il bene e il male, meglio la vita



Nella vita ciascuno di noi ha bisogno di intraprendere cammini e di avviarsi per sentieri che portano a mete più o meno lontane. Il fascino spesso riguarda le dinamiche del viaggio piuttosto che lo scopo prefissato, il modo e lo spirito con cui si arriva al termine, non tanto la fine stessa. Ma se c'è un viaggio di cui nessuno può parlare, ma di cui molti propongono ipotesi, suggestioni e congetture varie è quello più spaventoso e temuto di tutti, quello più inflazionato da sogni e racconti, quello più immaginato e al tempo stesso rinnegato. La morte. Quella del viaggio ultimo è da sempre la prima paura che invade il cuore degli esseri umani, a partire dall'ottenimento di una coscienza e di una consapevolezza responsabile fino agli ultimi giorni di vita, ai pensieri e ai timori terminali. In realtà quello della grande livellatrice è il pensiero più spaventoso da sempre, fin dalle origini stesse dell'umanità, della sua storia e della sua evoluzione. Ciascuna civiltà in cui ci siamo imbattuti finora e ciascuna di quelle che affronteremo in futuro, si è più preoccupata degli aspetti ultraterreni ed extraumani piuttosto che di quelli strettamente legati alla vita di ogni giorno. Nessuno, a parte gli irriducibili superuomini che hanno dominato ogni epoca, crede di poter davvero essere immortale, o almeno non in questa forma, ed essendo la vita un lungo viaggio di cui l'inizio è stabilito ma l'ora della fine è ancora tutta da giocare, la morte diventa non solo il più grande mistero da scoprire, ma anche e soprattutto l'unica straordinaria certezza che l'umanità abbia mai posseduto. In realtà tutto ciò che sappiamo di noi stessi è che prima o poi di noi non resterà che il dolce (si spera) ricordo. Lo sapevano gli Incas, i Maya, ma anche gli antichi romani e i greci più illustri. I fenici, gli egizi, gli arabi e gli abitanti della mezzaluna fertile. Persino le popolazioni barbariche sapevano perfettamente che la loro forza non sarebbe durata per sempre. Alcuni si sono arresi alla natura, altri hanno deciso di procurarsi la forza per varcare il limite e vedere cosa succede. Pensiamo a tutti coloro che si sono addentrati in pratiche magiche e di evocazione demoniaca seguendo testi più o meno accettabili (il Levegeton, chiamato anche Piccola Chiave e attribuito dai più a Salomone, ne è un esempio lampante poiché conteneva informazioni su ben 72 Spiriti Demoniaci -nomi, gradi, aspetto manifesto e sigilli- e fu largamente utilizzato dai più grandi occultisti di ogni tempo), chi ha praticato sacrifici e torture e chi si è convinto che la vera soluzione a tutto fosse il male. Ogni uomo ha bisogno delle sue piccole grandi chiavi per accedere ai misteri più secreti ed occulti dell'universo, ma cedere all'oscurità non aiuta certo ad aprire gli occhi e ad illuminare tutto ciò che c'è di buono in questo mondo. Prima di abbandonarsi al male, meglio imparare a conoscere il bene, a guardare quanta vita c'è ancora da scoprire. Perchè è vero che l'uomo è per sua definizione finito, perennemente immaturo ed imperfettissimo, ma può diventare più grande dei giganti adoperando quello che la natura gli ha sempre messo a disposizione: intelletto, cuore e ingegno.

Calì vi saluta, per oggi si conclude qui il nostro piacevole incontro in rete.

mercoledì 25 febbraio 2009

La preziosa eredità dell'Abate Julio


Abate Julio, chi era costui? Un uomo vissuto più di un secolo fa le cui scritture sopravvivono tuttora, sebbene siano passati molti anni dalla sua morte, e per il valore che racchiudono sono tra le più note agli ambienti esoterici. Il suo straordinario lascito comprende preghiere, formule cabalistiche, esorcismi e l'attestazione di valore e potenza dei Salmi. Lo scopo della sua eredità lasciata ai posteri consiste nello sfruttare queste risorse in qualsiasi occasione e momento della vita poiché produrrebbero benessere psicofisico, dissiperebbero problemi, preoccupazioni ed ostacoli, allontanerebbero le influenze più diaboliche e guarirebbero da ogni male, senza dimenticare la protezione assicurata contro malignità, nemici e calamità naturali. Non solo parole, però, poiché l'abate Julio ha provveduto a farci pervenire anche una considerevole raccolta di talismani tracciati per mezzo di un alfabeto segreto, di cui fa menzione in altre sue opere e che, dopo averli disegnati su pergamene apposite, rivelerebbero brani e formule tratti persino dal Libro dei Salmi. Uomo pio e carismatico, a lui si rimettevano tutti coloro che avevano bisogno di conforto, consigli e buone parole, senza contare tutti coloro che si recavano presso di lui per ottenere aiuti materiali, non solo spirituali. Certamente un punto di riferimento per molti che vissero i suoi anni, tanto amato dal popolo quanto osteggiato e mal visto dal vaticano che, tra l'altro, in seguito alle sue pratiche magico-cristiane segnate da una profonda devozione agli oggetti sacri come accadeva nelle campagne europee dell'età medioevale, lo scomunicò senza pensarci due volte. Certo è che a prescindere dagli ostacoli incontrati lungo il cammino e dalle pietre calunniose scagliate non solo contro le sue pratiche, ma contro la sua stessa persona, la memoria che gli derivò dalle sue miracolose formule e dai suoi straordinari segreti vive ancora oggi, non solo tra i praticanti, ma tra tutti coloro che seguendo le indicazioni dettagliatamente descritte ed accuratamente spiegate, trovano giovamento ed ottengono risultati a dir poco sbalorditivi e miracolosi. Ora come allora.

Per ora Calì vi saluta.

martedì 24 febbraio 2009

Chi erano i Benandanti?


Il male, esattamente come il bene, attrae e respinge. Questo potere ambivalente ha condotto numerose schiere di uomini a diventare fedeli adepti del Maligno che in diverse epoche ha manifestato la propria essenza diabolica seguendo le indicazioni presenti in curiose credenze di ascndenza medioevale. Una di queste dichiarava che gli adoratori del male, in contatto col maligno e figli indiscussi dei suoi poteri e malefici, ottenevano ogni dono malevolo per creare tempeste e mutare le condizioni dei fenomeni atmosferici più catastrofici a loro indiscutibile piacimento. Ovviamente però non tutti gli aficionados delle arti magiche erano in grado di rientrare in questa categoria poiché vi era una nutrito gruppo di maghi, conosciuti con il nome di Benandanti, che combatteva i praticanti maligni. Questi maghi benefici, diffusi soprattutto nella regione friulana, hanno da sempre suscitato enorme interesse e fascino poiché rappresentavano la punta di diamante di un fenomeno inspiegabile e incomprensibile per la Chiesa. Sicuramente i Benandanti non si opponevano all'istituzione ecclesiastica, anzi, fornivano il loro personalissimo contributo per salvare le anime perse nel senso più cristiano del termine. Per conseguire il loro intento, partecipavano ai raduni delle streghe e con esse combattevano utilizzando il potere dei semi di finocchio che minimizzava la malefica forza delle canne di sorgo degli avversari. Benandanti si nasceva, ed il marchio in grado di contraddistinguere questi maghi benighi dagli altri neonati era la cosiddetta camicia. Tra l'altro quella del feto o della placenta era conosciuta sia in occidente che in oriente per le sue straordinarie potenzialità magiche. Si dice che in determinate notti, l'anima del benendante uscisse dal corpo che la ospitava per presenziare ad incontri con altri maghi e per rimediare e trovare una valida ed immediata soluzione ai guai creati dai malefici di streghe e stregoni malvagi. Nel caso specifico, l'anima per far ritorno al suo luogo originario, doveva ritrovare il corpo nell'identica condizione, posizione e situazione in cui era stato lasciato. Se ciò non avveniva o l'anima trovava il corpo fuori posto, non avrebbe mai più potuto far ritorno e rientrar in esso. Sebbene, come si è già detto, quella dei benendanti fosse un'arte rivolta al bene, alla salvezza e alla purificazione delle anime corrotte e delle pecore smarrite, la Chiesa perseguitò ugualmente questi combattenti del bene, estorcendo loro confessioni mendaci su presunti raduni con il diavolo accompagnati da terribili cerimoniali malefici. Non dimentichiamoci un'altra caratteristica degna di nota che vale la pena ricordare: se nel resto dell'Europa le streghe perseguitate erano nella quasi assoluta totalità dei casi delle donne, i benendanti erano insolitamente quasi tutti uomini. Viene da chiedersi se davvero occorresse difendersi da questi stregoni buoni o se rappresentassero l'ennesimo di fronte al quale il marcio degli uomini ed il male che in essi risiede non fa davvero differenze.

Anche per oggi, Calì vi saluta.

lunedì 23 febbraio 2009

Picatrix e l'unione dei regni


La magia, si sa, spesso non ha limiti e va ad incrociare regni diversi. Il trattato arabo scritto in Egitto tra il 1047 e il 1051 ed attribuito a Maslama al-Magriti, incentra la propria straordinaria materia proprio sulle cosiddette simpatie che intercorrono tra i pianeti, gli animali, le pietre, le piante e tutto il resto, senza dimenticare le modalità con cui utilizzare per scopi magici quest'insieme di elementi speciali. Picatrix, questo sembra il nome del testo, annuncia anche la potenza dei sigilli e delle immagini attribuiti al celebre Ermete Trismegisto ed approfondisce ulteriori aspetti misteriosi. Questo fondamentale trattato di origine medioevale, viene chiaramente considerato un testo di magia talismanica ed evocatoria che ai tempi in cui venne composto e tradotto in latino (così da assumere il nome con cui noi oggi lo conosciamo), ebbe uno straordinario successo in ogni ambiente esoterico, particolarmente quando i massimi esponenti dell'Arte di quell'epoca specifica (Cornelio Agrippa, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola) iniziarono a studiarlo ed approfondirlo in ogni sua parte, traendone materialmente numerosi benefici. Sostanzialmente l'opera in questione insegnerebbe il modo attraverso cui sia possibile vaticinare sugli eventi futuri, illustrando anche i momenti migliori in cui avvicinarsi al testo stesso, in armonia con le posizioni planetarie e con l'intero cosmo. Le sue parole ne influenzarono molte altre, soprattutto quello pronunciate dai più grandi esoterici del passato. Attualmente alcune sezioni dell'opera sono conservate presso la Biblioteca dell'Arsenale di Parigi, ma chiunque può trovare il Picatrix in quasi tutte le librerie europee, sebbene valga la pena precisare che come qualsiasi altro manoscritto antico possa aver subito corruzioni e rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Come accade per tutti i segreti da occultare, anche il Picatrix non sfugge alla logica del mistero: agli occhi dei profani e per evitare i temibili tribunali inquisitori, il testo doveva risultare puerile, risibile e completamente privo di senso e significato logico, nonostante ogni suo frammento nascondesse sempre la sua propria verità assoluta, chiara e finalmente comprensibile agli iniziati. Alla luce di quanto appena affermato, non ci è dato conoscere cosa davvero intendesse dire l'autore con le sue formule, ma ci basti sapere, dopo aver accuratamente evitato di giocare con un testo che, come molti altri, è stato da sempre ritenuto oscuro e di magia perlopiù nera, che se altri maghi ed alchimisti non solo ne hanno preso in prestito i concetti, ma ne hanno riutilizzato gli incantesimi, certamente è un trattato da non sottovalutare e di cui parlare con molta cautela.

Anche per oggi, dal vostro calì è tutto.

domenica 22 febbraio 2009

Giù le mani dal tesoro della regina



Se ogni castello è severo custode di antichi segreti ed ancestrali leggende, quello della Regina, in Lombardia, non è certamente da meno. Anzi. Sul lato ovest della Val Brembilla, sorge la vetta del celebre Castello della regina che chiunque può raggiungere passando da Catremerio e da Zogno e che è avvolto da uno dei misteri più curiosi dell'intera regione. La leggenda narra infatti che fu il rifugio di una regina pagana saracena in fuga da incalliti cristiani assetati di sangue e desiderosi della sua morte. La regnante era scortata ed accompagnata da un piccolo gruppo di fedeli che si prestavano a difenderla e a tutelare la sua incolumità, ma che non riuscirono a salvarla perché, in disastrosa minoranza, dovettere soccombere in un terribile agguato. La regina, disperta e rimasta completamente sola, si gettò nel dirupo per non abbassarsi ad alcun compromesso e soprattutto per non cedere alla religione cristiana, restando fino alla morte più che fedele al suo credo. Il tesoro del suo piccolo regno, probabilmente mai stato trafugato, pare che l'abbia seguita nel baratro e molti da allora furono gli abitanti del luogo a dichiarare di aver avvistato il suo spirito ancora in compagnia del suo amato e fedelissimo esercito. Secondo alcune ricerche, il tesoro, invece, avrebbe subito tentativi di trafugazione da parte di uno sventurato contadino che si gettò nel vuoto nella folle impresa. Ahilui, senza successo. In seguito avrebbe incontrato un vecchio saggio che gli avrebbe narrato del celebre tesoro e che gli avrebbe indicato il modo per trovarlo: presentandosi nei pressi del dirupo il dodicesimo giorno del primo mese dell'anno con un gatto ed un bimbo in fasce in braccio, se avesse cercato sotto ad un cespuglio di viburno, avrebbe trovato una scala che lo avrebbe condotto direttamente alla stanza delle ricchezze. Il contadino attese quel giorno con impazienza, ma convinto che avrebbe dovuto sacrificare sia il bimbo che il gatto, non se la sentì di compiere un gesto tanto orribile, così si presentò senza i due requisiti richiesti. Buono d'animo e generoso, si convinse che avrebbe ugualmente trovato il tesoro, magari accordandosi e cercando di raggiungere un compromesso. La scala, così come gli era stato comunicato dal vecchio saggio, era esattamente sotto al cespuglio di viburno, ma appena iniziò a scendere nel dirupo avvertì alle sue spalle una forza sconosciuta e terrificante che tentava di afferrarlo violentemente. Dopo essersi liberato non senza difficoltà, fuggì via terrorizzato e, purtroppo colpito da una forte febbre, da lì a breve morì. Da quel giorno e da quell'episodio nessuno ha più tentato di avventurarsi giù per il dirupo e di trovare quel tesoro, ormai, è il caso di dirlo, maledetto e dannato dalla stessa Regina.

Da Calì per ora è tutto, alla prossima suggestione.

sabato 21 febbraio 2009

Andare oltre l'oltretomba


Per tutti gli appassionati di culto funerario e di civiltà antiche, sarà un piacere scoprire che i tre teschi trovati dagli archeologi nel sud della Galilea, in Israele (esattamente a Yiftah'el), hanno almeno 9000 anni. Una scoperta davvero straordinaria perchè i tre reperti sono in grado di dimostrare ed autenticare la venerazione che nel 7000 a.C. gli uomini avevano per i loro avi ed antenati. Che il culto dei morti fosse un'innegabile pratica consumata nell'antichità è fuori d'ogni dubbio, ma trovarsi di fronte alla prova di una liturgia tanto antica e sentita è davvero emozionante. Con la scoperta in questione sono emersi dettagli importanti e si è potuto stabilire che i popoli dell'età della Pietra erano soliti ricoprire le ossa del cranio con una sorta di intonaco e modellarle scolpendo i lineamenti del defunto. Il direttore del sito archeologico, Hamoudi Khalaily, afferma che il rito prevedeva la sepoltura del cadavere, seguita dalla riesumazione della sola testa per poter poi ricreare il volto al morto. Senza contare che i teschi venivano conservati in un angolo ben preciso della casa, come esempio e monito per le nuove generazioni. Alla luce di questa grandiosa scoperta e di alcune recenti indagini (seguite da convegni e dibattiti) sulla decostruzione del cordoglio e della memoria dei defunti operata dal clima culturale post-moderno, ci chiediamo se davvero l'uomo abbia modificato il proprio atteggiamento, la propria predisposizione e tutti i suoi personalissimi riti di fronte al più grande mistero dell'umanità, la morte. Sono stati osservati parenti e amici sulle tombe dei loro cari, analizzando ogni movimento e sguardo, e sono stati presi in considerazione anche parroci e fiorai. Se è vero che dal 2001 si spende meno dal fiorista e che il crisantemo è in disuso, l'autopsia della pietà ci sembra davvero troppo. Il gesto di ripulire il sepolcro non è sintomo di una minor compassione, ma semplicemente della grande cura nutrita nei confronti di chi non c'è più da parte di chi c'è ancora. E seppure il modo di vivere il culto dei morti e di elaborare il lutto si fosse modificato col tempo, è davvero giusto pronosticare amare sentenze solo in base ad esternazioni più o meno spontanee? La partecipazione non è sempre sinonimo di lacrime e segni della croce. E nonostante i tempi siano cambiati e le civiltà si siano trasformate e, consentitemelo, evolute, alcuni sentimenti restano gli stessi. Non per forza bisogna esporre in salotto il teschio della povera e cara vecchia prozia defunta per conservare il suo ricordo con affetto e tenerezza.

Da Calì per ora è tutto.

venerdì 20 febbraio 2009

I Neotemplari, cavalieri scissi


Ormai parlare di loro è come prendere in causa vecchi amici e parenti lontani. Ma quanto ne sappiamo in realtà sulle vicende e sul mistero dei Cavalieri del Tempio? In realtà poco, molto poco, sopratutto se consideriamo che il proliferare di organizzazioni formatesi per recuperare lo spirito dell'antica regola e tradizione cavalleresca, non ha fatto altro che confondere ulteriormente le idee a chi conosce a malapena l'argomento. Si parla dunque di Neotemplarismo come un fenomeno di grande attualità che lievita di giorno in giorno: pensate che solo nel nostro paese è possibile contare più di dieci ordini diversi d'ispirazione templare, ovviamente ognuno con le proprie irremovibili rivendicazioni di continuità ed eredità. Parlando di successione però, va precisato un dato: nonostante alcuni gruppi possiedano documenti e atti che attestano e dimostrano una stretta parentela almeno dal lontano 1700, nessuno di questi ordini può e deve essere fatto risalire direttamente alla cosiddetta "Militia Christi" del XII secolo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e ad alcune azioni che tuttora provocano accese contestazioni, il Neotemplarismo si è scisso in due grandi correnti principali denominate O.S.M.T.H. e O.S.M.T.J. A distinguerli non è solo la lettera finale del nome che li definisce, ma la differente interpretazione e rappresentazione del Templarismo ufficiale. Il primo gruppo ha scelto praticamente fin da subito una linea più secolare, cercando di ottenere riconoscimenti dalla politica internazionale con il risultato di un'ampia diffusione in numerosi Paesi e addirittura l'ottenimento di un seggio ONU come organo non governativo. La seconda corrente, al contrario, ha subito stabilito di voler seguire un cammino più mistico e spirituale, ma i suoi continui tentativi di riabilitare la Chiesa ne ha maggiormente limitato lo sviluppo e l'espansione. Pensando al numero di aderenti e alla tipologia di attività svolte, è da tenere in considerazione che la principale derivazione dell'O.S.M.T.J. attualmente esistente è quella Svizzero-Italiana di "obbedienza Pasleau", un'organizzazione strettamente gerarchizzata al cui vertice troneggia un Reggente che, saggiamente, ha evitato l'autoproclamazione a Gran Maestro, di fatto preservando la Luogotenenenza. Questo è certamente un dato a suo favore poiché al contrario, in altri gruppi, il Reggente è diventato Gran Maestro, piombando così irreparabilmente nel baratro della sedicenza. Senza permetterci di dubitare della buona fede dei gruppi presi in esame, tra l'altro operanti nella più totale legalità e dedite non solo ad apprezzabili opere di carità e beneficenza, ma anche a rilevanti occasioni d'incontro per gli appassionati della materia, c'è però da sottolineare l'evidente ostilità tra le svariate derivazioni. Pochi hanno realmente compreso che una maggiore credibilità da parte di istituzioni religiose e politiche potrà essere ottenuta soltanto attraverso la riunificazione in un'unica, solida e stabile realtà templare. L'impresa impossibile nasce, in realtà, dalla concreta difficoltà nel far scendere dal piedistallo le decine di capi-gruppo che si sono autoproclamati Maestri e Priori: come potrebbero pubblicamente mostrare e mettere in discussione il proprio reale ed umanissimo grado? Come spiegare agli altri componenti della fronda che quella presieduta è l'ennesima nuova religione, secondo la precisa ed attenta collocazione da parte del Cesnur, e che l'unico legame effettivo di discendenza con i Templari è la determinazione e la fermezza con cui portano avanti i loro intenti? Dan Brown e massoni a parte, la questione è davvero più complessa di quanto sembri e la verità, come a solito, sta nel mezzo.

A presto dal vostro Calì.

giovedì 19 febbraio 2009

Il Magick di Crowley


Era il 12 ottobre del 1875 e in Inghilterra nasceva Edward Alexander Crowley. Per molti il nome non avrà alcun significato preciso, ad altri suggerirà notizie lontane e difficili da recuperare mentalmente, ma a quei pochi che lo conoscono col nome con cui diventò presto famoso, Aleister Crowley, farà tornare alla mente la Bestia (lo stesso appellativo con cui si autoproclamò), specialista in occultismo e autore di numerose pubblicazioni sull'argomento. Basti pensare, per individuarne il profilo, che negli anni '20 l'Inghilterra intera ebbe a definirlo "l'uomo più malvagio del mondo". Poeta e pittore bisessuale, nonché grande sperimentatore di droghe e profondo conoscitore delle più antiche dottrine iniziatiche dei Rosa+Croce, della magia egizia e di quella rossa, Crowley fu uno dei più rilevanti esponenti di tutti i movimenti magico-occulti che si avvicendarono dal XVIII secolo in poi. Visse un'esistenza da maledetto, nomade e tormentato. Potrebbe essere il perfetto protagonista dell'ennesimo film oscuro da godersi in prima fila, se non fosse che le ombre della sua produzione siano talmente nere e misteriose da ricadere sulla sua stessa ambigua personalità. Il fiore all'occhiello della sua intera produzione sembra a tutti gli effetti essere il cosiddetto Magick, l'opera massima in cui riversò tutte le sue conoscenze e ogni suo approfondimento sullo yoga, sull'alchimia, sulla magia sexualis e sui culti misterici orientali. Da non sottovalutare il sottotitolo del testo, "in theory and practice" in cui viene chiaramente indicato l'intento dell'opera, non solo teorico ma anche e soprattutto attivo. E' questo un testo che, adorato dai satanisti, ancora oggi fa discutere enormemente ed incuriosisce non tanto per le informazioni contenute, quanto per le suggestioni evocate e per i suoi tratti a tinte fosche, forti. Il testo base per chi intende procedere sulla strada della cosiddetta ars goetia, pratica magica che riguarda l'invocazione ed il risveglio dei demoni, e soprattutto per quanti decidano di approfondire i temi più oscuri, talvolta pericolosi, legati ad un tempo che non ci appartiene ma che rivive proprio grazie a queste, e a moltissime altre, pagine oscure.

Per ora da Calì è tutto.

mercoledì 18 febbraio 2009

FABIO CALI' CERCATORE DI RICERCHE 9: Tutankhamon fa ancora discutere


E' recente la supposizione avanzata da alcuni ricercatori dell'università di Liverpool, tra cui il professor Robert Connoly, secondo la quale il celebre e tanto discusso faraone Tutankhamon sarebbe stato seppellito non da solo, ma in compagnia di due figlie gemelle. Quella degli antropologi non è una semplice ipotesi, ma il frutto di numerosi studi sul campo: da tempo, infatti, collaborano con le autorità egiziane per analizzare con cura ed attenzione la tomba del faraone. I primi risultati confermerebbero che i due feti, rispettivamente di cinque e di otto mesi, rinvenuti nel 1922 dall'archeologo Howard Carter, oltre ad essere dei gemelli, possiedono gruppi sanguigni perfettamente compatibili con quelli del giovane figlio di Ra. Salito al trono all'età di soli nove anni, diverse e numerose sono le teorie proposte sulla discendenza del dodicesimo sovrano della diciottesima dinastia egizia. Proclamato giovane del Nuovo regno, morì altrettanto presto, a soli diciannove anni: una fatalità talmente tragica da far pensare ad assassinii politici e complotti da parte dei suoi vari oppositori. Carter fu proprio colui che ne scoprì il corpo, purtroppo analizzato con metodi davvero poco ortodossi: sappiamo che per estrarre il faraone dal sarcofago utilizzò addirittura martello e scalpello rompendogli le ossa, e che per sciogliere lo spesso strato di catrame che circondava parte del corpo e che riempiva il sepolcro, l'avrebbe esposto a delle lampade che superavano i 650°C, scalcinando l'intera struttura ossea. Dal giorno della prima autopsia presso l'università del Cairo, era l'11 novembre 1923, tanti sono stati gli studi dedicati al grande sovrano d'Egitto sulla sua morte, dai raggi X alle tomografie assiali computerizzate, probabilmente causata da una banale infezione tetanica. Quello che avvolge la tomba KV, codifica della camera funeraria di Tutankhamon presso la Valle dei Re, è davvero stupefacente e vale la pena ricordare che i reperti provenienti dal sarcofago sono tuttora conservati al Museo Egizio del Cairo, dove occupano un'intera ed interessantissima ala. Certamente il Museo val bene una visita (io direi anche due, tre o quattro), ma l'occasione di trovarsi di fronte a colui di cui l'unica cosa certa fu quella che morì (come ebbe a dire lo stesso Carter), non ha davvero prezzo.

Per tutto il resto c'è il vostro Calì che vi dà appuntamento al prossimo mistero.

martedì 17 febbraio 2009

Il meccanismo di Antikitera


S
alve a tutti dal vostro Calì, miei carissimi internauti affamati di archeologia e misteri.
In questo intervento tratteremo del meccanismo di Antikitera, un congegno meccanico assai avanzato trovato nelle profondità del mare, nei pressi dell'isoletta di Antikitera, poco lontana da Creta. Nel 1900 dei pescatori di spugne persero la rotta a causa di una tempesta, trovando riparo nei pressi della suddetta piccola isola e scoprendo per caso il relitto di una nave dell'epoca tardo-ellenistica (I secolo a. C.) che trasportava statue di bronzo e di marmo. Dopo aver segnalato la scoperta, e dopo un anno di operazioni, gli archeologi trovarono numerose ruote dentate, di piccole e grandi dimensioni, alcune delle quali presentavano delle iscrizioni incise sopra. Si arrivò alla conclusione, da parte di alcuni, che si trattasse di un astrolabio, da parte di altri di un planetario. Nel 1951 il professor Price si occupò dell'esame e dello studio del meccanismo, osservando attentamente gli ingranaggi arrivando finalmente, dopo ben venti anni di duro lavoro, a riassemblare le parti. Si trattava di un congegno in grado di calcolare il calendario solare e quello lunare: le varie ruote riproducevano un rapporto di 254:19, in modo da ricostruire il moto della Luna riferito al Sole, tenendo ben presente che la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari.

Tutto questo ci da la conferma di esperimenti fatti durante questo periodo storico, menzionati per esempio da Cicerone, il quale scrisse che il filosofo Posidonio realizzò un globo che mostrava i moti del Sole, delle stelle e dei pianeti come appaiono in cielo. Annotò inoltre Archimede aveva concepito un modello che imitava i movimenti dei corpi celesti.

Uno studio recente, svolto dal professor Wright ai raggi x, ha permesso di rimettere al suo posto e con precisione ogni singolo ingranaggio, arrivando alla conclusione che si trattava, come teorizzò Price, di un calendario solare e lunare, basato su un modello epiciclico elaborato da Ipparco, ma anche dei pianeti Mercurio e Venere, stavolta utilizzando un modello teorizzato da Apollonio di Perga.

Quello che più sconvolge, oltre al fatto che non si era a conoscenza, prima di questa scoperta, di meccanismi così antichi (avremo congegni simili solo intorno all'anno 1000), è la precisione con la quale tali ingranaggi sono stati lavorati, con una strumentazione assai meno precisa di quella attuale.

Questo getta nuova luce sulla tecnologia greca.
Alla prossima!

lunedì 16 febbraio 2009

L'elogio della lentezza


Negli anni a cavallo tra il 1400 e il 1500 si viveva diversamente. Che fosse meglio allora non possiamo stabilirlo, ma l'unica certezza è che gli uomini di una volta non si trovavano alle prese con lo stress congenito, la fretta perpetua e le esagerate convulsioni moderne e moderniste di cui oggi chiunque è preda e vittima sacrificale. Ovviamente la durata della vita era minore rispetto a quella odierna, ma chi può sentenziare senza alcun dubbio che quella manciata di anni in meno non risultasse problematica per uomini che vivevano la vita senza l'ansia di dover fare, produrre e realizzare subito e a tutti i costi? E se l'armonia non si trovasse nella quantità, ma nella qualità del tempo ottimizzato e davvero vissuto? Chi ha detto che l'esistenza umana deve manifestarsi in grandi opere, atti grandiosi e momenti a malapena assaporati? Siamo sicuri che ciò che ci apprestiamo a fare ora non sia rimandabile a domani o, meglio ancora, a data da destinarsi? Lo sapeva bene quel geniaccio del Da Vinci che, sebbene perennemente alle prese con committenti infuriati ed un'intero arsenale di opere lasciate incompiute, se la prendeva con grande calma. O forse no. Forse già allora aveva compreso il vero senso della perfezione, dell'equilibrio che non per forza soggiace nel compiuto, ma talvolta nell'incompleto. Nell'imperfetto. D'altronde ad un'opera finita troveremmo sempre dei difetti, delle mancanze. Come si fa, invece, a restare insoddisfatti di fronte a qualcosa che non parla di esiti o risultati finali? Lo scontro della cultura tradizionale, quella che sapeva prendersi i suoi tempi e che viveva la propria esistenza senza troppe scadenze ed agitazioni, va così a cozzare irrimediabilmente con la nostra epoca, che tiene in pugno il tempo credendo di esserne il padrone e che desidera vivere sette vite in una. Come i gatti. Ma erano davvero lenti questi uomini del Rinascimento o i lenti siamo noi che ancora non abbiamo capito il vero senso della vita? Il gusto della creazione di un'opera a cui non necessariamente deve seguirne subito un'altra e che magari può restare un unicum, incompleto ed interminabile? Spesso il miglior risultato lo abbiamo già ottenuto e non abbiamo neanche il tempo di accorgercene. E' lì, sotto i nostri occhi, e non lo vediamo perché già presi da altro, dall'ultima idea, moda o rivoluzione da mettere in atto. L'eterno duello tra la prudenza e l'impeto, tra l'attesa e l'azione si rinnova ad ogni istante, ad ogni secolo, in ogni uomo. E, tornando a Leonardo, ci viene da sorridere se pensiamo che in tutta la lentezza descritta, ha scritto oltre 13000 pagine di studi, disegni, appunti, oltre alle varie opere pittoriche, scultoree e quant'altro. Noi comunissimi mortali non sappiamo arrivare a tanto e finché non c'inimicheremo il tempo e tutto ciò che esso regola, non evolveremo mai. Anzi. Schiavi del consumismo e di bisogni artificiali indotti, figli di una produzione fine a se stessa e di modelli consumati ed ormai svuotati da ogni logica, non abbiamo altro scopo nella vita che sopravvivere a noi stessi e al tempo che inesorabilmente ci passa sotto il naso. Che Leonardo fosse un genio era inutile ripeterlo, ma che ci avesse mostrato oltre a tutta la sua Arte rivestita da regole nascoste e segreti misteriosi anche il segreto dell'immortalità, è da ribadire. L'uomo diventa immortale non quando s'avvicina al divino, ma quando si scopre umano, dotato di enorme sensibilità creativa di un'ampio potenziale da sviluppare e quando riesce a far luce sui propri talenti nascosti, come il dono di conoscere i propri limiti e d'imparare ad amministrare il tempo che passa, piegandolo alle proprie volontà. Una scoperta, questa, che gli cambierebbe la storia, non solo la vita.

"Affrettatevi piano", diceva Svetonio. Nel frattempo Calì vi saluta.

sabato 14 febbraio 2009

Fabio Calì cercatore di ricerche 8: Atlantide tra mito, leggenda e storia


"L'uomo che l'ha sognata, l'ha fatta anche scomparire" (Aristotele)

Così il filosofo e scienziato greco liquidava la descrizione di Atlantide fatta dal suo maestro Platone in un'opera celeberrima, il Timeo, una breve descrizione che ha dato luogo ad infinite congetture e disquisizioni su un argomento tutt'ora a metà fra realtà e leggenda. Ma diamo la parola a Platone stesso in questo breve estratto:
« Innanzi a quella foce stretta che si chiama Colonne d'Ercole, c'era un'isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. (...) In tempi posteriori (...), essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte (...) tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve. »
Atlantide prende il nome da Atlante, figlio di Poseidone e Clito, primo re di questa civiltà e signore dell'Oceano Atlantico: si trattava di una monarchia illuminata, ricca e potente, che divise l'isola-continente in 10 zone, ognuna governata da un figlio di Poseidone e dai relativi discendenti. Inizialmente si trattò di un governo saggio e lungimirante, ma la presenza dei mortali corruppe questo clima idilliaco a tal modo che Zeus si trovò costretto a sprofondare l'isola.

Il mito di Atlantide non compare quasi mai nei testi greci, e se viene trattato, questo viene fatto da autori posteriori a Platone che quindi hanno avuto modo di leggere la sua opera; anche gli Aztechi trattano di una leggenda simile, per la precisione essi raccontano di Aztlàn, una specie di Eden in cui questi vivevano, ma che poi dovettero abbandonare via mare per via dell'ira del dio Tezcatlipoca che la fece sprofondare.

Le ipotesi sull'ubicazione di questo luogo sono svariate: la prima, la più tradizionale, vede Atlantide collocata nell'oceano Atlantico, poco dopo le Colonne d'Ercole; un'altra teoria vede Atlantide come l'America stessa, ipotesi alquanto improbabile, dal momento che non era possibile (forse) che si conoscesse tale continente, ma soprattutto perchè l'America non ha conosciuto cataclismi recenti o comunque risalenti a 9000 anni prima che Platone scrisse il Timeo. Un ulteriore teoria invece colloca questo luogo fantastico nel deserto del Sahara, terra un tempo fertile e rigogliosa, ma questo andrebbe a cozzare con il resoconto platoniano; altri ritengono che si tratti della civiltà sarda, quella nuragica, ed effettivamente la Sardegna è un'isola dalle dimensioni piuttosto ragguardevoli, ma in questo modo dovremmo spostare le Colonne d'Ercole fra Sicilia ed Africa, un tempo assai più vicine che adesso. Alcuni addirittura la collocano in Antartide, luogo che si è dimostrato essere già 50000 anni fa privo di ghiacci, in base a vari studi al carbonio C14. Le teorie sono innumerevoli e questo è solo un assaggio.

Da Calì è tutto.