lunedì 16 febbraio 2009

L'elogio della lentezza


Negli anni a cavallo tra il 1400 e il 1500 si viveva diversamente. Che fosse meglio allora non possiamo stabilirlo, ma l'unica certezza è che gli uomini di una volta non si trovavano alle prese con lo stress congenito, la fretta perpetua e le esagerate convulsioni moderne e moderniste di cui oggi chiunque è preda e vittima sacrificale. Ovviamente la durata della vita era minore rispetto a quella odierna, ma chi può sentenziare senza alcun dubbio che quella manciata di anni in meno non risultasse problematica per uomini che vivevano la vita senza l'ansia di dover fare, produrre e realizzare subito e a tutti i costi? E se l'armonia non si trovasse nella quantità, ma nella qualità del tempo ottimizzato e davvero vissuto? Chi ha detto che l'esistenza umana deve manifestarsi in grandi opere, atti grandiosi e momenti a malapena assaporati? Siamo sicuri che ciò che ci apprestiamo a fare ora non sia rimandabile a domani o, meglio ancora, a data da destinarsi? Lo sapeva bene quel geniaccio del Da Vinci che, sebbene perennemente alle prese con committenti infuriati ed un'intero arsenale di opere lasciate incompiute, se la prendeva con grande calma. O forse no. Forse già allora aveva compreso il vero senso della perfezione, dell'equilibrio che non per forza soggiace nel compiuto, ma talvolta nell'incompleto. Nell'imperfetto. D'altronde ad un'opera finita troveremmo sempre dei difetti, delle mancanze. Come si fa, invece, a restare insoddisfatti di fronte a qualcosa che non parla di esiti o risultati finali? Lo scontro della cultura tradizionale, quella che sapeva prendersi i suoi tempi e che viveva la propria esistenza senza troppe scadenze ed agitazioni, va così a cozzare irrimediabilmente con la nostra epoca, che tiene in pugno il tempo credendo di esserne il padrone e che desidera vivere sette vite in una. Come i gatti. Ma erano davvero lenti questi uomini del Rinascimento o i lenti siamo noi che ancora non abbiamo capito il vero senso della vita? Il gusto della creazione di un'opera a cui non necessariamente deve seguirne subito un'altra e che magari può restare un unicum, incompleto ed interminabile? Spesso il miglior risultato lo abbiamo già ottenuto e non abbiamo neanche il tempo di accorgercene. E' lì, sotto i nostri occhi, e non lo vediamo perché già presi da altro, dall'ultima idea, moda o rivoluzione da mettere in atto. L'eterno duello tra la prudenza e l'impeto, tra l'attesa e l'azione si rinnova ad ogni istante, ad ogni secolo, in ogni uomo. E, tornando a Leonardo, ci viene da sorridere se pensiamo che in tutta la lentezza descritta, ha scritto oltre 13000 pagine di studi, disegni, appunti, oltre alle varie opere pittoriche, scultoree e quant'altro. Noi comunissimi mortali non sappiamo arrivare a tanto e finché non c'inimicheremo il tempo e tutto ciò che esso regola, non evolveremo mai. Anzi. Schiavi del consumismo e di bisogni artificiali indotti, figli di una produzione fine a se stessa e di modelli consumati ed ormai svuotati da ogni logica, non abbiamo altro scopo nella vita che sopravvivere a noi stessi e al tempo che inesorabilmente ci passa sotto il naso. Che Leonardo fosse un genio era inutile ripeterlo, ma che ci avesse mostrato oltre a tutta la sua Arte rivestita da regole nascoste e segreti misteriosi anche il segreto dell'immortalità, è da ribadire. L'uomo diventa immortale non quando s'avvicina al divino, ma quando si scopre umano, dotato di enorme sensibilità creativa di un'ampio potenziale da sviluppare e quando riesce a far luce sui propri talenti nascosti, come il dono di conoscere i propri limiti e d'imparare ad amministrare il tempo che passa, piegandolo alle proprie volontà. Una scoperta, questa, che gli cambierebbe la storia, non solo la vita.

"Affrettatevi piano", diceva Svetonio. Nel frattempo Calì vi saluta.

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